Alma de poeta cuéntame recogiendo palabras nacidas por la tierra y el sudor los que fueron los años ingratos que cruzaron tu existencia. Años de sueños de puntillas, de ideales revolucionarios apenas murmurados y ya puestos en prácticas, de cuentos desconfiados y derrotas dolorosas. Alma de poeta, versos levantados hacia un cielo indigno y traidor, hacia noches sin lunas ni estrellas y días de niebla y frío, en los que el sol no era capaz de calentar el aire. Cuerpos viajando por rutas desconocidas, mar de sombras, muecas terroríficas. Alma de poeta cuéntame la belleza que finalmente gana sobre el horror, de rosas olorosas, de campos fértiles de amor, felicidad y colores vivos y brillantes. Relátame historias antiguas de ancestros valientes, de caras pintadas, rituales magicos y misteriosos en idiomas perdidos, canciones de lucha. Una máquina de escribir en la mesa en la tiniebla de una pieza, y de espalda los rasgos de un hombre que con sus dedos ahusados recopila folios y folios de anécdotas y poemas. Una guitarra a su lado buscando la justa melodía. Mira a la telecámara, un respiro hondo y otro más. Palabras como ríos turbulentos. Reivindicaciones sindicales y compromiso político. Alma de poeta, páginas preciosas rasgadas y estrujadas por el régimen y la mezquindad humana, por las calles hogueras de la vergüenza, recintos de exterminios ocultados pero bien conocidos por los demás, desaparecidos sin nombres y tumbas. Poesía refugio y guardián de mi alma, términos sueltos, versos pareados. Rimas encadenadas como mis piés y mis manos. Rimas vendadas como mis ojos. Rimas destrozadas y quebradas como mis huesos. Alma de poeta, sueños de puntillas, sol gélido, versos de amor y lucha, micrófono y pluma, luz roja de una telecámara, voz firme y consecuente entre voces cobardes y conniventes.
Me llamo Máximo Antonio Gedda Ortiz, soy periodista y militante del MIR. Me considero un pacifista y mi arma favorita está compuesta por consonantes y vocales, frases, preguntas y respuestas, cuentos y poemas. Amo a la vida, lucho para garantizar los derechos fundamentales a las personas y a los trabajadores más desfavorecidos. Trabajè a la Televisión Nacional pero mi aspiración principal era la de combatir con todos los medios que tenía a disposición contra a la dictadura. Agentes de la DINA me detuvieron el 16 de julio de 1974 en circunstancias desconocidas. Me encontraba solo. Me capturaron, golpearon, torturaron. Solo se quedaban de mi pequeños trocitos de carne, rayos de humanidad pulsante traspiraban de mi cuerpo atormentado. Me hicieron desaparecer, se deshaceron de mis restos. Era invierno. El invierno más frío de mi vida. Fue un 16 de julio de 1974. Me desaparecieron. Intentaron borrar mis huellas, pero estaban imprimidas a tinta indeleble.
Rimas y palabras, música y notas, cuentos de los nuestros, interrogantes pendientes en un mundo al revés. Cementerios de rostros olvidados, de cosas calladas, de verdad ocultada y de justicia negada. Pedazos de versos, de composiciones, altibajos de alma, aeroplános de papel y memoria compartida, de denuncias gritadas en la cara al poder. Sí, me asesinaron y me desaparecieron, pero aun soy aquella voz que brota desde el fondo del alma de mi pueblo en forma de poesía.
(Anima di poeta raccontami raccogliendo parole nate dalla terra e dal sudore quelli che sono stati gli anni ingrati che hanno attraversato la tua esistenza. Anni di sogni in punta di piedi, di ideali rivoluzionari appena sussurrati e già messi in pratica, di storie diffidenti e sconfitte dolorose. Anima di poeta, versi levati verso un cielo indegno e infido, verso notti senza luna né stelle e giorni di nebbia e di freddo, in cui il sole non era capace di riscaldare l’aria. Corpi percorrendo rotte sconosciute, un mare di ombre, volti terrificanti. Anima di poeta raccontami la bellezza che finalmente vince sull’orrore, di rose profumate, di campi fertili d’amore, di felicità e di colori vividi e luminosi. Raccontami antiche storie di antenati coraggiosi, volti dipinti, rituali magici e misteriosi in lingue perdute, canti di combattimento. Una macchina da scrivere sul tavolo nel buio di una stanza, e di spalle i lineamenti di un uomo che con le dita affusolate compila pagine e pagine di aneddoti e poesie. Una chitarra al suo fianco alla ricerca della giusta melodia. Guarda la telecamera, un respiro profondo e un altro. Parole come fiumi turbolenti. Rivendicazioni sindacali e impegno politico. Anima di poeta, pagine preziose strappate e accartocciate dal regime e dalla meschinità umana, per le strade falò della vergogna, luoghi di sterminio nascosti ma ben noti agli altri, scomparsi senza nomi e tombe. Poesia rifugio e custode della mia anima, parole sciolte, rime baciate. Rime incatenate come i miei piedi e le mie mani. Rime bendate come i miei occhi. Rime frantumate e spezzate come le mie ossa. Anima di poeta, sogni in punta di piedi, sole gelido, versi d’amore e di lotta, microfono e penna, luce rossa di una telecamera, voce ferma e coerente tra voci vili e conniventi.
Mi chiamo Máximo Antonio Gedda Ortiz, sono giornalista e membro del MIR. Mi considero un pacifista e la mia arma preferita è costituita da consonanti e vocali, frasi, domande e risposte, racconti e poesie. Amo la vita, mi batto per garantire i diritti fondamentali alle persone e ai lavoratori più svantaggiati. Ho lavorato per la televisione nazionale ma la mia aspirazione principale era combattere con tutti i mezzi a mia disposizione contro la dittatura. Gli agenti della DINA mi hanno arrestato il 16 luglio 1974 in circostanze sconosciute. Ero solo. Sono stato catturato, picchiato, torturato. Di me restavano solo piccoli pezzi di carne, raggi di umanità pulsante traspiravano dal mio corpo torturato. Mi hanno fatto sparire, si sono sbarazzati dei miei resti. Era inverno. L’inverno più freddo della mia vita. Era il 16 luglio 1974. Mi hanno fatto scomparire. Hanno cercato di coprire le mie tracce, ma sono state impresse con inchiostro indelebile.
Rime e parole, musica e note, storie dei nostri, interrogativi senza risposta in un mondo capovolto. Cimiteri di volti dimenticati, di cose taciute, di verità nascoste e di giustizia negata. Pezzi di versi, composizioni, alti e bassi dell’anima, aeroplani di carta e memoria condivisa, di denunce gridate in faccia al potere. Sì, sono stato assassinato e mi hanno fatto sparire, ma sono ancora quella voce che scaturisce dal profondo dell’anima del mio popolo in forma di poesia.)
Máximo Antonio Gedda Ortiz nacque a Temuco, fu il secondo di cinque fratelli. Suo padre Máximo era un immigrato italiano e sua madre Olimpia Ortiz era originaria del Sud del Cile Giornalista, militante del MIR, venne catturato dalla DINA il 16 luglio 1974, in orario e circostanze ignote. Non era accompagnato da nessuno. Il giorno dopo venne portato da cinque agenti alla residenza ubicata in Providencia 1722, sesto piano, appartenente ad un amico di famiglia, Juan Bautista Rossetti Colombino, ex parlamentare, ministro e ambasciatore del Cile in Francia. Lì venne visto da un’impiegata Norma Inostroza che aprì loro la porta. Rimase chiuso in una stanza per circa dieci minuti, nella quale a volte pernottava, accompagnato da quattro agenti. Dopo si congedò dall’impiegata dicendole che sarebbe tornato subito. Non ritornò mai più in quella casa. In accordo con la testimonianza di Norma Inostroza, la vittima stava visibilmente male, il suo viso era pallido ed emaciato.
Máximo Gedda animò il primo programma emesso dalla Televisión Nacional dai nuovi studi di Bellavista 0990, il 18 settembre 1970. Il giovane crebbe professionalmente, inoltre collaborò con “Punto Final” ed emerse come dirigente sindacale.
Sin da ragazzo Máximo iniziò a scrivere poesie; aveva un’anima ribelle. Studiò Architettura per poi, l’anno successivo, passare alla facoltà di Giornalismo. Nel 1969 seguì il corso nel quale Manuel Calvelo formava i professionisti nelle varie tecniche di televisione. Così cominciò il suo percorso nella Televisión Nacional.
Oltre al suo lavoro come giornalista dedicò le sue energie ad aiutare i lavoratori del canale che avevano meno possibilità ed entrate economiche. Máximo acquisì una importante leadership nella difesa dei più deboli. I compiti politici assorbivano molto del suo tempo, così nel maggio 1972 prese la decisione di allontanarsi da TVN. David, questo il suo nome nel MIR, decise di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica.
Cercando la sua strada si imbatté in José Carrasco Tapia, nell’Encuentro Nacional de Periodistas de Izquierda, nell’aprile del 1971. Lavorò attivamente con Peppone fino al giorno del suo arresto.
Máximo, soprannominato anche il “Flaco” era una persona allegra e solidale. Fisicamente fragile e totalmente miope, aveva una forza enorme. Trasmetteva voglia di vivere. Era in grado di comunicare con tutti i tipi di persona, aveva qualcosa di speciale.
I familiari lo ricordano come un pacifista anche se per molti potrebbe sembrare contraddittorio vista la sua militanza nel Movimiento de Izquierda Revolucionaria. Odiava la violenza e soprattutto disprezzava la prepotenza di coloro che preferivano utilizzare la forza per “convincere”. Credeva nella forza della parola, perciò non lasciò mai di utilizzare la poesia e la chitarra per raccontare le sue esperienze e i suoi sogni. Scriveva a tutte le ore e in qualsiasi luogo si trovasse.
Testimonianze di ex prigionieri politici segnalano il suo passaggio per il centro di tortura di Londres 38. Ad oggi rimane tra le fila dei detenidos desaparecidos. Il suo nome comparirà nella lista dei 119.
¡MÁXIMO GEDDA ORTIZ PRESENTE AHORA Y SIEMPRE!
¡HASTA ENCONTRARLOS A TODOS!
Chantal Castiglione
Qui alcune delle sue poesie:
Amanece
Anda a tu casa compañero,
y revuelve tu miseria de cualquier casa que tengas,
saca sacude el miedo,
recoge los muertos,
toma un extenso vaso de agua para tu sed tan vieja,
ármate del dolor que vamos a usarlo mucho,
junta tu equipaje,
colócalo en la puerta,
tómate una foto tú mismo del tipo “Buscado” y clávala antes de salir en el pecho de tu casa,
clávala después de salir en el pecho de los galpones,
en el vientre de los trenes,
en el gran pecho de debajo de la tierra,
en el pecho de los muertos de aquí de ahora que siguen muriendo,
en los grandes pechos llorados por donde ha rodado tanta cabeza de hijo promisorio y sigue rodando.
Brutalmente amanece,
picotean los pájaros en tu hígado de batalla,
no sabes que amanece. por la rendija en que sobrevives nos asomamos todos,
entre cementos,
picanas,
puntapiés y garrotes,
se perdió tu perfil y cada cual alarga su mano y te recompone,
ya sabíamos esto y sin embargo lo aprendemos.
Preguntaste alguna vez también por tu hijo
apretaste alguna vez también los dientes
cerraste el libro de golpe,
descubriste el día con espanto,
arrinconaste a tu mujer,
dijiste la palabra con dureza,
abriste una puerta la cerraste,
entraste,
te quedaste,
aquí estás, de este lugar verdaderamente no te saca nadie
eso es lo importante,
ni con fusiles ni con patadas,
de aquí no te borra nadie,
aquí estás por lo que hiciste
no porque te destruyeron.
(Marzo 1974)
Camarada
No has amanecido conmigo
como podía esperarse
de acuerdo al curso natural de los ríos,
o de acuerdo a la orientación del viento.
O tú no me has esperado
o quizá llegué tarde,
cuando ya no esperabas.
Cuando me imaginabas en medio de la ideología clara que nos impulsa
o en medio del tráfago de motores y de bocinas.
Y la distancia se convirtió en razón,
en palabra concreta,
y no fue posible desmentirla,
a pesar de las manos apretadas con insistencia
a pesar de los besos apurados,
a pesar de tu perfil y el mío
y de las largas despedidas
y de los cortos encuentros en medio del camino.
“Abriendo camino a la historia de nuestro pueblo
y una nueva etapa en nuestras vidas…”
Como tu dices.
“!Amarrados!”-Como yo digo.
(Arica, Marzo 72)
¿Dónde fuiste guardado?
¿Dónde serás guardado, dónde?
Se atreverán a abrirte una brecha en la tierra de los cementerios?
¿Te pondrán de espalda acaso en una zanja desconocida?
¿Te entregarán de costado, encogido, desarmado,
como caigas, a una pila común de enterrados,
donde te abrazarás extraordinariamente con los otros?
Serás guardado aquí, en una mortaja mañanera
con la cual cada uno corta su miseria
y ocupa su día cada día con su deber
y lo acompaña con el mismo canto
que no hay otro.
Serás guardado aquí
serás repartido aquí
se arreglarán tus cuentas aquí
se sacará tu lección se ocupará tu lugar
y el jirón de tu camisa convertido en bandera
y la certeza de tu gesto en metralla
y por donde él iba contigo entró
seguiremos entrando
y en la gran rendija histórica
¡Aquí estás! (Su último poema)