Dopo 33 anni torna l’evento-derby tra Catanzaro e Cosenza in Serie B. Media Terronia lo racconta dal punto di vista delle due squadre femminili, per celebrare anche la giornata internazionale contro la violenza di genere del 25 novembre
Nell’impianto dell’associazione sportiva Real Cosenza si sente urlare “Forza ragazze! Calcio e coraggio! Calcio e coraggio!”, mentre 22 ‘lupe’ fanno slalom con il pallone in mezzo ai birilli, intervallate dal fischietto dell’allenatrice Luisa Orlando. Cento km più a sud, sul rettangolo verde di allenamento del campo B dello stadio ‘Ceravolo’, Sara Conte segue la partitella di training del mercoledì sera delle giallorosse, in vista del derby femminile Catanzaro-Cosenza del 26 novembre. “Tra compagini femminili -ricorda – ci saremo sfidate negli anni circa 50-60 volte”. Uomini o donne, poco cambia, le partite – assicura Orlando – “sono agguerrite tanto quanto il calcio maschile tradizionale”.
Domenica 26 novembre, dopo 33 anni, torna il “derby dei derby” di Calabria. Con la spiacevole notizia che l’Osservatorio sul tifo del Ministero dell’Interno ha dichiarato Catanzaro-Cosenza manifestazione sportiva a “rischio 3” di sicurezza. Solo 750 tifosi ospiti? Non sarà forse una vera festa del tifo, anche con toni accesi, come da tradizione.
Media Terronia ha deciso di ‘partecipare’, in qualche modo, all’evento, e raccontarlo da un punto di vista diverso. Il derby femminile giallorosse versus rossoblù. Una narrazione un po’ inedita, ma in linea con il calendario, dato che Aquile e Lupi si scontrano 24 ore dopo la giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Per cui vediamo se anche il derby femminile è “una malattia che non va più via” come il celebre inno dei Lumpen che accompagna la discesa in campo dei Lupi a ogni match giocato al “Marulla”.
È ancora giorno quando, nel campo illuminato dal sole e dal calore delle rossoblù, Lucia Orlando, allenatrice delle lupacchiotte in vista dell’Eccellenza Interregionale, ci accoglie con un sorriso e tanta musica. Volume alto, cuore carico “a palla”, e un entusiasmo contagioso, quasi da festa. “L’aspetto mentale è la chiave. Lascio le ragazze libere di esprimersi con un po’ di musica per rendere il clima più gioioso”.
Lucia Conte, lupacchiotta “esperta”
Accanto a lei Lucia Conte, responsabile del settore femminile del Cosenza, figura di riferimento del calcio femminile, calabrese e italiano. Di recente, infatti, è stata audita in Commissione Cultura alla Camera dei Deputati, in merito alla recente proposta di legge Molinari sull’azionariato popolare. Questo perché si è laureata a Coverciano nel 2022 con una tesi sul coinvolgimento attivo della comunità nello sport, in particolare, naturalmente, nel calcio. “Mi hanno interpellato sulle migliori soluzioni per fare in modo che la gente si avvicini sempre di più alla squadra, rendendola partecipe in maniera attiva”. Sogna un calcio femminile, Lucia, che non sia più spettatore, ma protagonista indiscusso dell’esperienza sportiva nazionale. “Chi inizia ad allenare, passando dal maschile al femminile, o chi inizia a seguirci come tifoso, si rende conto di quanto l’emozione che regala lo sport maschile sia uguale a quella del femminile”.
Storie di gioco che si intrecciano a storie di vita, ci raccontano Lucia e Luisa, mentre le ragazze cominciano il loro riscaldamento. Luisa, con una passione che nasce in un piccolo paesino dello Jonio, Mirto Crosia, dove il calcio le ruba il cuore già dall’infanzia. Le bastava vedere i bambini che giocavano a pallone per strada per entusiasmarsi, racconta. Il suo viaggio è un mosaico di esperienze: dall’Irpa Rossano a Roma Cinecittà, fino al CUS Cosenza, Luisa gioca in squadre di ogni livello, tracciando un percorso di sfide e successi. Una volta appese le scarpe al chiodo, intraprende la strada dell’allenamento. Ottiene prima la licenza “Uefa A”, necessaria per lavorare con squadre giovanili di alto livello o con squadre professionistiche di livello inferiore. E sogna ora di raggiungere quella “Uefa Pro”, il livello più alto di certificazione per gli allenatori di calcio. Con vent’anni di carriera alle spalle, Luisa ci scherza su: “Non facciamoci sentire troppo dalle ragazze, ma di loro non posso lamentarmi. Ho un gruppo fantastico”.
E quel gruppo in campo continua a darsi da fare, a faticare tra sorrisi e scherzi. Mentre Luisa torna dalle sue ragazze, Lucia, un po’ emozionata, si racconta. La sua è una passione che nasce a Cosenza, ai tempi in cui giocava insieme ai maschietti: “La passione per il calcio nasce dalla prima volta che ho messo piede allo stadio San Vito, e me ne sono innamorata”. È un amore radicato nei colori della sua città e nell’energia travolgente del Marulla. Una dedizione che coltiva nel corso degli anni. Gioca in varie squadre e intraprende esperienze significative anche fuori regione, tra Bari e Roma. Il richiamo della sua città natale è però troppo forte, e Lucia fa ritorno a casa. Decide di dare il suo prezioso contributo al calcio femminile locale come direttore sportivo. “Da calciatrice in realtà non sentivo tanto l’adrenalina da partita, ero semplicemente felice di scendere in campo. Naturalmente, l’emozione più bella per me è stata quella di indossare la maglia del Cosenza”, anche se – ammette – per tornare in riva al Crati ha dovuto accettare di giocare in una categoria di livello inferiore rispetto alle altre squadre dove ho militato.
Quando arriviamo al campo del Catanzaro, all’interno dello stadio Ceravolo, è sera. Le ragazze ci aspettano cariche, pronte a raccontare le loro storie. Chi giocava a calcio, addirittura con i nonni lungo i corridoi della propria casa, chi comincia a tirare i primi calci a un pallone sulla spiaggia. Qualcuna delle aquilotte deve la passione per il pallone agli zii brasiliani, “che hanno sempre giocato a calcio”. La tensione è palpabile, ma il clima è goliardico. Ci si diverte, tra le reti del campo B, dove non ci si prende troppo sul serio, fino al momento di allenarsi.
Sara Leone, “aquila” di lungo corso
Ad accoglierci, in mezzo alle giallorosse, la loro principale sostenitrice. Sara Leone, responsabile del settore femminile del Catanzaro, che eredita la passione calcistica dalla sua famiglia. Tutto ha inizio a Catanzaro, dove il calcio entra nella vita di Sara ancor prima della sua nascita. Una storia scritta negli stadi. “I miei genitori si sono conosciuti a una trasferta del Catanzaro. Mio padre è un dirigente federale di Lega Calcio, mia sorella è un giudice sportivo, il calcio è la nostra famiglia”. Sempre e per sempre fedele al Catanzaro, Sara è dirigente sia della squadra giovanile femminile, “si può dire che l’ho costruita io da 4 anni a questa parte”, sia di quella maschile.
Il derby per lei è più di una semplice partita, è la storia di due città che si sfidano con orgoglio. “Il derby è sempre una partita a sé, particolare”. Sara ride e si diverte raccontando aneddoti di tempi passati: “Forse era nel ‘98-’99, io ero a Cosenza che studiavo, e c’era il derby di Coppa Italia. A Cosenza pioveva, quelle giornate di pioggia tremenda. E mi ricordo che siamo andati allo stadio, non ci facevano entrare per via sempre di restrizioni. Il Catanzaro però segna, e alla fine noi siamo entrati lo stesso”. Si dispiace per le restrizioni: “Privare la gente di venire allo stadio è un fallimento secondo me, è una sconfitta morale, proprio perché siamo due belle realtà del sud. Perché se 2000 persone hanno la tessera del tifoso non li devi far venire e ne fai venire solo 700? Con quale criterio? È una cosa sbagliata”.
Scende la sera cala sul campo del Catanzaro, e a Cosenza gli allenamenti sono già finiti da un pezzo, ci rendiamo conto che il calcio femminile è ancor più di “una malattia che non va via”. È un virus contagioso, di gioia e divertimento, che infetta chiunque si avvicini con il suo entusiasmo, propagandosi in mezzo al campo. “Quando mi dicono Catanzaro-Cosenza mi vengono i brividi, non so come dire. È bello”. Tra le risate generali, le aquilotte ci salutano e proseguono il loro allenamento, dandoci appuntamento al 26, già sicure della vittoria, che naturalmente si augurano anche le agguerrite rossoblù dalla sponda bruzia. Ricordando che, fuori dal campo, dobbiamo tifare tutti insieme, facendo rete, tra uomini e donne insieme, contro la violenza sulle donne.