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Assunta Cosentino, l’avvocata dei cani contro il randagismo

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Il randagismo è una piaga che affligge soprattutto il sud-centro Italia, ma ha davvero tante sfaccettature. Innanzitutto bisogna differenziare i “cani vaganti”, animali di proprietà, per esempio i maremmani che da liberi proteggono il gregge, i “cani ferali” che vivono in modo indipendente, spesso lontani dall’uomo, i “cani da villaggio”  che fungono da spazzini cibandosi dell’immondizia intorno ai piccoli paesini o villaggi. Poi quelli “randagi”, che vivono senza proprietario, ma spesso ne hanno avuto uno e si muovono nell’urbe.

Assunta Cosentino, avvocata civilista, ha salvato molti cani dalla strada, una sorta di “angelo custode” degli amici a quattro zampe. Ancora oggi si prende cura dei suoi cagnolini paraplegici, anziani o con dinamiche di aggressività. Assunta rappresenta quasi un unicum, uno dei pochi presidi contro il randagismo, grave fenomeno che non riguarda solo il territorio cosentino, ma tutto il centro-sud Italia. E racconta cosa vuol dire salvare un cane randagio. “È terribile anche solo immaginarlo, ma, pensando ad alcuni canili che ho visto in vita mia, certe volte sarebbe quasi meglio la morte che soffrire in luoghi del genere, come fossero prigioni di animali, dato che parecchi cani nascono e muoiono ammassati nelle gabbie”.

Lo Stato assente e i controlli che mancano

C’è un motivo per cui il randagismo non è stato ancora debellato ed è il disinteresse. Non c’è stato, negli anni, coinvolgimento da parte delle amministrazioni comunali e regionali, per cui il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti. Un altro problema, non di poco conto, sono le leggi che non vengono rispettate, eppure esistono. Per esempio la legge 281 del 1991 (la si può trovare qui) secondo cui cani e gatti non possono essere maltrattati né in ambiti domestici, né in quelli urbani. Inoltre devono essere sterilizzati e reintrodotti nel loro gruppo, non possono essere sfruttati al fine di sperimentazione o rapiti. Devono avere microchip ed essere iscritti all’anagrafe canina. Il microchip, che viene applicato di solito su un lato del collo dell’animale, permette, tramite una macchinetta apposita, di identificare più facilmente il proprietario dell’animale in caso di smarrimento o abbandono.  

“Troppe persone non rispettano la legge – denuncia l’avvocata – e troppi cani non valgono niente per lo Stato. Proprio il caso di dire che è un cane che si morde la coda, perché mancano i controlli e le dovute sanzioni”.  Nel 2018 Assunta si è tirata fuori da questo mondo, per mancanza di supporto e sovrannumero di cani randagi. Cosa che non permette di curare al meglio il benessere canino, proprio perché non ci si può dedicare a tutti nello stesso modo. Fino a quel momento però, e per tantissimi anni, insieme ad altre persone, aveva provato a proporre e stilare progetti come la reimmissione sul territorio, che però hanno avuto durata breve, proprio per mancanza di supporto. “Reimmettere un cane nel territorio – spiega Cosentino – significa che alcuni cani randagi vengono prelevati, sterilizzati, curati e riportati lì dove sono stati trovati, proprio come legge prevederebbe. In questo modo si evita che possano avere cucciolate e i cani randagi dovrebbero diminuire nettamente”.

Molti cani vengono avvelenati

Il perché del fallimento della reimmissione sul territorio è anche culturale. Molti cani, anche se non danno fastidio, anche se sono seguiti e dotati di antiparassitario, cure e sterilizzati, non vengono accettati dai cittadini e quindi subentra un altro terribile fenomeno, l’avvelenamento. In questo modo, nel 2019, è stato ucciso un cane, uno dei tanti, nel quartiere di Portapiana, a Cosenza. C’era un branco di circa sei cani, erano lì da molti anni e non hanno mai creato fastidio alle persone. Un giorno sono stati avvelenati tramite la metaldeide, un potente prodotto chimico presente in veleni come il lumachicida. Ha un colore verde bluastro ed è letale. In caso di ingestione il cane deve immediatamente essere portato in clinica veterinaria, se si ha la possibilità, intanto dovrebbe vomitare ingerendo acqua ossigenata.

Assunta Cosentino in uno scatto con uno dei suoi cani

Purtroppo questi cani sono stati avvelenati di notte, e trovati morti per terra. Soltanto uno si è salvato, Tigre, un cagnolino meraviglioso che è stato adottato nel nord Italia pochi mesi dopo. Anche Assunta, tra i tanti, aveva accolto due cani che si aggiravano nei pressi della sua abitazione. Li aveva sterilizzati, li nutriva, applicava medicinali all’occasione e antiparassitario. Purtroppo uno di loro probabilmente è stato avvelenato, nonostante, anche in quel caso, non avesse recato fastidio alcuno e fosse sano e buono come gli altri sotto la sua egida.

Quindi la reimmissione nel territorio è solo un sogno che in Calabria non potrà mai essere realizzato. Non finché le persone non accetteranno la convivenza con altri animali. Altri volontari che abbiamo ascoltato affermano che il canile dovrebbe essere un luogo di passaggio, in cui il cane può restare il tempo necessario per le cure del caso per poi essere adottato o, se possibile , reimmesso sul territorio. Ma come abbiamo visto non avviene quasi mai.

Cosa fare quando si trova un cane abbandonato

La procedura di attivazione per l’ingresso in canile funziona secondo queste regole. Chi incontra un cane ferito, o in pericolo per sé stesso e gli altri, oppure se si è in presenza di cuccioli non autosufficienti, senza mamma, cani su strade a scorrimento veloce a rischio investimento, deve segnalarlo alla polizia municipale, o ai carabinieri. Aspettare l’arrivo di una pattuglia e del servizio cattura che provvederà al trasferimento del povero cagnolino presso il canile sanitario convenzionato.

Il cane viene quindi messo in quarantena, gli vengono prestate eventuali cure, gli viene posto un microchip, poi vaccinato e sterilizzato. La permanenza nel canile sanitario dura al massimo tre mesi per i cuccioli, due per gli adulti. Se il cane non dovesse trovare adozione verrà trasferito nel canile rifugio convenzionato dove trascorrerà la vita chiuso in un box.

Non tutti i cani, però, sono “appetibili”. Purtroppo, quando si tratta di adozioni i cuccioli di piccola taglia hanno più possibilità che qualcuno li voglia prendere con sé. È “importante” il colore del mantello. In linea di massima, anche se non se ne conosce la ragione, i cani dal manto chiaro hanno un indice di adottabilità maggiore rispetto ai cani neri e ai tigrati.

Solo d’estate più di 50 mila cani abbandonati

Stando così le cose, il randagismo può soltanto peggiorare. I canili sono pieni. Uno dei tanti altri motivi sono a esempio le cucciolate casalinghe. Cioè, quando le persone vogliono a tutti i costi un figlio dal proprio cane, lo fanno accoppiare e in tanti casi non riescono a “piazzare” come si dice in gergo tutti i cuccioli. Così, tanti cuccioli finiscono in canile, ma  tanti vengono abbandonati, spesso insieme alla mamma. E così che strade, rifugi e canili non hanno un attimo di riposo. Nonostante le campagne di sensibilizzazione, soltanto nei periodi estivi vengono abbandonati più di 50.000 cani in Italia, un numero spaventoso. A fare le cucciolate dovrebbero essere soltanto gli allevatori, che applicano test sulla salute, scelgono minuziosamente i futuri proprietari e, di certo, non abbandonano i cani. Al più, se tutto va male, se li tengono in allevamento.

In Italia vi è tantissima ignoranza anche su questo aspetto, e come prima, il cane acquistato a 200 euro senza pedigree (che attesta la razza e che è un documento ufficiale presente sul sito E.N.C.I. ossia Ente nazionale Cinofilia Italiana), è un cane le cui cucciolate non vengono registrate. Quindi assenti ai radar dello Stato. E così all’infinito.

Assunta non nutre buone speranze, poiché la situazione non sembra essere cambiata di molto. “L’unico modo per arginare il randagismo – conclude – è informarsi, sapere, curare i nostri animali e non pensare solo al nostro ego”.

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