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Cosenza, quando il Cavern Club era il Nuovo Teatro Mafalda

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Tra il 1870 e il 1903 c’erano dieci teatri nella città dei Bruzi. A fine ottobre il Circolo culturale Arci-Aprile Cavern Club ha organizzato una passeggiata itinerante nella memoria dei “palcoscenici perduti”

Cosenza è la città dei sette colli, ma era anche la città dei dieci teatri. E c’è solo un teatro, inaugurato nel gennaio 1903, che è ancora attivo. Il Nuovo Teatro Mafalda, oggi Cavern Club, che conserva ancora il vecchio accesso a livello sotterraneo. Infatti, la sera di Capodanno, 4 gennaio 1903, udite udite: “In piazza Marco Berardi aprì il Nuovo Teatro Mafalda, con la compagnia comica napolitana diretta dal maestro Ernesto Bove che incontrò subito le simpatie del pubblico, tanto che le prime due sere il teatrino era pieno come un uovo”. A raccontare questa storia sono Katia Filice, regista teatrale e Desirée Emmanuela Chirico, che hanno scovato vecchi giornali dell’epoca, tra cui ‘Cronaca di Calabria’. Una sorta di ritorno immaginario e itinerante “alla ricerca dei teatri perduti”, nell’epoca tra il 1870 e il 1903, in cui in città c’erano il Teatro Alighieri, il Real Ferdinando, il Garibaldi, il Teatro Baraccato, il Massimo e il Grisolia, più altri tre teatrini minori. L’iniziativa si è svolta sabato 28 ottobre, in collaborazione con lo stesso circolo culturale CavernClub-Arci Aprile.

Piazza Marco Berardi a Cosenza è famosa perché è lì ubicata una delle case dove abitò il filosofo Bernardino Telesio. E sembra di essere ancora lì, in quella sera di Capodanno 1903, ad assistere a uno spettacolo d’altri tempi. Solo che siamo un secolo e vent’anni dopo e davanti al fu ‘Cavern-Mafalda’ la compagnia “Allura” ci regala un estratto dell’opera del 1982 ‘La zia di Carlo’, rappresentata in quegli stessi spazi per la prima volta agli inizi del ‘900. “Allura è un termine che noi cosentini utilizziamo molto – spiegano gli attori della compagnia – ed è una congiunzione conclusiva, alla fine di qualcosa che è stato e che poi si rinnoverà”. Così come il Mafalda, che fu qualcosa e che ora è qualcos’altro. “È un nuovo mondo che si apre, con le sue grandi prodezze e le sue grandi brutture – recita Katia – Come sempre, il nuovo si ricongiunge al vecchio, perché la base di partenza è identica: alimentare il sogno del teatro come festa di tutto il popolo unito nel tempo”.

Una tappa della passeggiata nella ‘piazza dei pesci’

La passeggiata dei teatri che furono è partita dalle porte del centro storico. Dove, in piazza dei Valdesi, un tempo fulcro delle attività e degli scambi economici della città, sorgeva il Cinematografo Alhambra. Qui si riunivano artigiani, bottegai, e chiunque volesse divertirsi e dimenticare le beghe e i problemi di ogni giorno. Questa sera – si legge sempre su ‘Cronaca di Calabria’ del 9 aprile 1911– apre il Cinematografo Alhambra, sotto la direzione del noto comico napoletano Ernesto Bove. “L’impresa che ha messo a nuovo il locale promette spettacoli di assoluta novità e della più scrupolosa moralità. Stasera ‘I Miserabili’, fedele riproduzione cinematografica del grandioso capolavoro di Victor Hugo, film grandioso di 1250 millimetri”. Ma non è l’unico cinematografo della città.

La carovana si dirige a salire per corso Telesio. Tra le scalinate e i palazzi della Piazza Piccola, nota anche come “A chiazza d’i pisci” (la piazza dei pesci), proprio da quella balconata al di sopra della ringhiera in ferro battuto, si immaginano burattini e burattinai esibirsi nel Teatro Alighieri, illuminato a luce elettrica: “Il teatrino dei burattinai allieta il pubblico spicciolo e meriterebbe di essere affollato”, scrive ‘La Sinistra’ l’11 settembre del 1887. “Poiché all’eleganza del locale, va anche unita la cura che tutti hanno di accaparrarsi le simpatie del pubblico. Di fatti, non solo i burattini che si vedono sul palcoscenico, ma qualche scherzo comico viene anche recitato esclusivamente dagli artisti”.

Altra tappa, piazza Duomo. Lì, tra le strade e gli edifici che ora ospitano il famoso locale ‘Beat’ – che è storico quasi quanto i teatri che stiamo rievocando – ne scorgiamo un altro. “Questa sera, sabato, nei locali in piazza del Duomo, al ‘numero 6’, rimessi tutti a nuovo, sarà inaugurato il ‘Cinematografo Centrale’, con programma di assoluta novità fornito dalla ditta Costa di Napoli. Siamo sicuri che il cinematografo risponderà a tutte le esigenze del pubblico, che vi accorrerà numeroso sia per la scelta variata delle proiezioni, sia per il prezzo tenuissimo del biglietto”. Forte e vivo il gemellaggio con la città di Napoli, principale riferimento culturale del territorio. Che sente sua l’esigenza di avere, fare e rappresentare cultura. E lo fa con piccole e grandi realtà, messe in piedi, per lo più, da privati cittadini, mentre la politica, come spesso accade, resta inerme e impassibile a guardare.

Ma è quando si arriva a piazza XV marzo, fulcro della cultura cittadina, dove la statua di Bernardino Telesio è circondata dal teatro Rendano, il liceo classico Telesio e l’Accademia Cosentina, abbiamo di fronte la manifestazione più evidente di ciò che significhi “costruire” cultura. Un piazzale un tempo vuoto, “non c’era assolutamente nulla qui”, dice Katia. Difficile da immaginare, quella piazza spoglia e senza il suo teatro di tradizione. Eppure, tutto partì dal teatro Real Ferdinando: “Era il 1845, e forte era il desiderio di costruire un teatro a Cosenza”, spiegano Katia e Desiré.

Del Real Ferdinando, l’unico presente in città, nella sede del Vecchio Telesio, dopo la sua demolizione, erano rimasti solo “il pronao templare con le quattro colonne doriche e il frontone in stile neoclassico”. Dalle sue ceneri, vediamo sorgere il Teatro Garibaldi della cui costruzione si fa riferimento nel ‘Progetto di un teatro in Cosenza’ del 1858, in un fascicolo conservato nell’Archivio di Stato. Nelle carte mostrate dalle due attrici si legge: “Un sito in cui facilmente vi possano accedere i pedoni e le carrozze, sicuro dall’agguato di malfattori”.

All’interno, tre file di palchi e la galleria. Otto spettatori per ogni palco, 300 per la platea. Costruito con pietre di fiume, e con pavimento e platea del vecchio teatro, ecco sorto di fronte a noi il grande teatro Garibaldi, costruito per volontà di privati proprio sulle rovine del Real Ferdinando. Si legge su ‘La Sinistra’ nel 26 novembre 1882: “Prima di ogni altra cosa, un bravo di cuore all’ingegnere Miceli, che seppe fare, con poca spesa e in breve tempo, un teatrino comodo ed elegantissimo, che non lascia nulla, proprio nulla a desiderare”. Il teatro Garibaldi sarà demolito nel 1903, e il suo spazio verrà poi utilizzato per ampliare i locali del liceo Telesio, “al quale procurerà un ingresso bellissimo, anzi addirittura monumentale”.

Per il teatro Rendano, un tempo Teatro Massimo, appunti, ci vorranno ancora molti anni. Nel frattempo, è nei pressi della statua di Bernardino Telesio, proprio al centro della piazza, che vediamo sorgere il cosiddetto “Teatro Baraccato”, una sorta di baracca, appunto, ancora di proprietà di privati cittadini. Chiude e riapre diverse volte a causa delle condizioni di degrado in cui sarà abbandonato, ma sopravvive fino alla costruzione del teatro Comunale ospitando compagnie di prosa e di operette.

Ci vorrà il 1877 per parlare del teatro comunale, da realizzare nel giardino dell’ex monastero delle Clarisse, prendendo in considerazione il progetto dell’ingegnere Nicola Zumpano. È il 1902 quando si pensa di inaugurarlo con l’opera “Consuelo” del giovane artista Alfonso Rendano. Ma le spese sono troppo alte e tutto viene rinviato all’anno successivo. Poi crolla un metro quadrato del plafond, e dopo una serie di controversie burocratiche, i lavori di pittura vengono finalmente affidati a Enrico Salfi, che li ultima in soli due anni. Si pensa sia arrivato dunque il momento dell’apertura, e invece viene inaugurato solo nel 1909, come Teatro Massimo e sul palco va in scena l’Aida di Giuseppe Verdi. Solo che la malasorte continua. Chiude, riapre, ospita compagnie deludenti, pur calcato da grandi nomi quali Mario Fumagalli, Gustavo Salvini, e Giovanni Grasso, finché la bruttura della guerra lo farà diventare dimora di soldati abbandonati a loro stessi, senza che, ancora una volta, il Municipio si curi delle sue sorti. Tanto che su ‘Cronaca di Calabria’, il 18 novembre 1915 si legge: “I seicento soldati non pratici dell’uso dei cessi a sifone, hanno prodotto l’ostruzionismo dei cessi stessi, e poiché non si ebbe cura di chiudere i rubinetti di scarico, né è derivato un grave inondamento e lo sprofondamento di ben dodici palchi. Quante preghiere per te, quanti applausi sono scrosciati in quei palchi, quanta tristezza nel vederti così”.

Sempre nelle vicinanze piazza XV marzo sorgevano anche teatri “minori”. Il Teatro della Varietà, sulla ex chiesa delle Clarisse, limitrofo a dove oggi c’è il museo del Fumetto, il Teatro Festival, un elegante ritrovo in legno edificato proprio al centro di piazza XV marzo, e il Politeama cosentino, un edificio costruito per i più diversi gusti adatto ad ospitare ora compagnie equestri, ora compagnie di prosa.

Le ultime tappe di questo viaggio ripercorrono la storia del Teatro Grisolia. Un elegante ritrovo sito in via Giostra Vecchia, spiegano le organizzatrici. Voluto fortemente dal barone Oscar Grisolia, da cui prende il nome, che nel 1904 proprio nel palazzo di fronte alla sua abitazione cinquecentesca decide di far vivere un teatro. Seppur di modeste dimensioni presenta una capiente platea con tre file di palchetti. Nel racconto di Katia e Desiré, i teatri, dunque, si ergono maestosi davanti ai nostri occhi, per poi scomparire corrosi dal tempo, dalla mala politica, dall’indifferenza. Un tempo erano i teatri baraccati, i teatri dei burattinai, i cinematografi, e il grande sogno di un teatro comunale. Oggi sono il Teatro dell’Acquario, l’Officina delle Arti, il cinema Italia e ancora quel teatro comunale sempre al centro di polemiche. Cambiano le epoche, restano i problemi. Si spera che rimanga viva la voglia di lottare per fare cultura, avere cultura, e rappresentare cultura.

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