‘’Il fatto che non ci fosse una risposta alla domanda che lui gridava, ‘Perché soffro?’, l’uomo, l’animale più coraggioso e più prono a soffrire, non nega la sofferenza in sé: la vuole, la cerca anche, a condizione che gli venga dato un significato, uno scopo alla sofferenza. La sofferenza senza senso, non la sofferenza, è la maledizione che giace sull’umanità’’
-Nietzsche, ‘’ Genealogia della morale’’.
Dovunque io fantasticassi sul futuro da adolescente, m’immaginavo il diventare famosa parlando della mia sofferenza. Ero convinta (o stata convinta) che per essere una celebrità ci fosse necessariamente bisogno di una storia tragica strappalacrime alle spalle. Il che mi ricorda un episodio della serie ‘’Bojack Horseman’’, dove un personaggio di nome Diane spiega che deve scrivere un profondo memoriale sulla propria vita perché se non lo fa, tutti i traumi e le difficoltà che ha vissuto sono stati per nulla, il danno che ha ricevuto non è più un ‘’buon’’ danno, è semplicemente un danno.
C’è chi dice che Van Gogh ingerisse vernice gialla in modo da essere felice, e molte volte la gente tratta la sua depressione come una divinità più che una malattia. La verità è che lui la ingeriva in modo da morire, e non c’è niente di bello nella depressione.
Piangevo per una falsa alchimia, per la mia inabilità di trasformare la mia malattia in arte. In realtà, Van Gogh ha creato i suoi migliori lavori mentre era in cura. Non era la sua malattia, e non lo sono neanch’io, e non lo siete voi.
Anch’io creo i miei migliori lavori in processo di guarigione. Quando guardo il terreno con stupore di come riesca a tenere la vita, e non con la melanconia di non essere sepolta sotto esso.
‘’Se vuoi mettere fine alla tua vita, fallo. Ma non devi morire per riuscirci. Metti fine alla tua vita qui e va da qualche altra parte. Fai qualcosa di utile. Fai qualcosa’’
-Head On, dir. Fatih Akin
Per avere un cambiamento, devi cambiare te stesso per prima.
In un mondo ossessionato dalla pietà, che si abbiano effettivamente malattie mentali o meno, e dove l’essere ‘’pazzo’’ o triste è visto come un eccentrismo, siamo in un loop constante. Si fa una scelta perenne di indulgiare nella propria tristezza e nei propri drammi. La gente ne è dipendente, segretamente gli piace. La gente VUOLE guardare film tristi, ascoltare canzoni tristi, cercare contenuti tristi su internet ed apertamente parlano di come vogliano il loro cuore spezzato ancora una volta.
Nel libro ‘’Il Principe’’, un personaggio di nome Magnus Bane disse che una volta ha incontrato un essere immortale che ha vissuto per cosi tanto tempo che non sentiva più alcun emozione ormai…se non la paura. E quando Magnus gli ha chiesto perché non si è mai semplicemente ucciso dato che la vita non aveva più un significato per lui, l’essere rispose che la morte per lui era ancora temuta ed inesplorata, l’unica cosa nei suoi migliaia di anni di vita di cui non aveva alcuna esperienza. Ammetto di agire e pensarla anch’io in questo modo, non desidero necessariamente la morte ma, parlando logicamente, perché non dovrei?
L’arte in generale tende a romanticizzare l’essere tristi da sempre. E se l’arte romanticizza e, molte volte, si approfitta della salute mentale, allora è immorale crearla? Anche col clichè dell’artista tormentato. I tristi e i sofferenti sono veramente più creativi e profondi di quelli senza terrore esistenziale?
Nella Genealogia della morale di Nietzsche, lui discute che gli umani provano piacere nell’avere il diritto di essere cattivo verso gli altri, per il semplice gusto di essere cattivi. ‘’The carnal delight de faire le mal pour le plaisir de le faire’’. Non siamo nati con un set di morali secondo Nietzsche, etichettare qualcuno come meritevole di una punizione perché hanno fatto qualcosa di male in realtà è un concetto molto avanzato che molta gente crede come un qualcosa che viene naturalmente. L’idea che se tu in qualche modo mi fai male, il tuo ‘’’debito’’ sono ora io che posso far del male a te. La punizione si basò sul ‘’ogni infortunio ha il suo equivalente’’. Al posto di merce materiale o soldi, la gente veniva compensata tramite la soddisfazione di infliggere sofferenza su qualcun altro. Nietzsche descrive molti incredibilmente crudeli metodi di tortura che fanno parte della nostra storia, come lanciare pietre, bollire criminali in olio o vino, ecc. E queste torture ed esecuzioni erano fatte vedere a matrimoni reali e festival come intrattenimento, erano come spettacoli comici per loro. Tuttavia, quando l’umanità iniziò ad entrare in una società più civilizzata, fu necessario regolare i propri piaceri crudeli in modo da stabilizzare un esistenza comune pacifica.
Nietzsche dice che è da qui che viene il concetto morale del senso di colpa. L’umanità incominciò a vergognarsi dei propri istinti crudeli perché erano ora visti come immorali. Perciò, la gente non poteva più apertamente riconoscere ed esprimere questi istinti. Come risultato, il nostro piacere nella crudeltà divenne spiritualizzato nella cultura popolare. Lo vediamo nei film horror o sport violenti. Dove puoi godere della crudeltà a distanza. In ogni caso, i nostri istinti non potevano essere completamente dimessi in questo modo e, quindi, questi istinti vengono indirizzati verso l’interno, dentro di noi, creando una brutta coscienza. L’umanità ha vissuto quello che Nietzsche chiama ‘’l’internalizzazione dell’uomo’’. Il piacere che la gente deriva dalla crudeltà è ora soddisfatto tramite causare sofferenza verso loro stessi. Il godimento dall’infliggere dolore verso gli altri si è tramutato in godimento nell’infliggere dolore verso noi stessi.
Un ulteriore ragione per cui Nietzsche crede che desideriamo il dolore è perché il concetto del ‘’buono’’ era originariamente sinonimo dei tratti che gli aristocratici nobili avevano un tempo, gli uomini di alto rango sociale che onoravano il coraggio, la forza, la salute fisica, la ricchezza perché erano tutto quello che credevano di avere. Chiamarsi ‘’buoni’’ era un modo di usare il linguaggio per assortirsi come superiori di natura, E Nietzsche cita prove etimologiche. Come ‘’gut’’, per sia ‘’buono’’ che ‘’uomo di razza devota’’. Da qui, il concetto di ‘’brutto’’ emerge dall’assenza di quei tratti buoni, che gli aristocratici associavano ai tratti delle persone comuni. Questo causò un mix di rancore e desiderio di vendetta tra le masse.
Ora, a farla breve, eventualmente le persone comuni finirono per stabilire un sistema morale di ‘’buono’’ contro ‘’cattivo’’, che è diverso da ‘’buono’’ contro ‘’brutto’’. Ricordarsi la forma del ‘’buono’’ degli aristocratici viene per primo, il concetto di ‘’brutto’’ viene dopo come contrasto. Però, per la gente comune, il ‘’cattivo’’ fu definito per primo. Il cattivo venne associato a tutti i ‘’buoni’ tratti che prima gli aristocratici eloggiavano, cosi la ricchezza/l’ambizione/il piacere divennero cattivi.
Lo vediamo praticamente in qualsiasi religione, dove è una virtù non ricercare potere verso gli altri, sacrificare noi stessi per gli altri, resistere i piaceri del mondo. Lo vediamo anche nella cultura popolare, dove la gente vuole sempre essere la vittima perché le masse scelgono sempre quella parte, non la parte più forte.
Quindi, negli occhi di Nietzsche, ci intenzionalmente spostiamo verso il dolore per poi chiamarlo ‘’essere una buona persona’’.
Beh, se la sofferenza e la tristezza sono parti inevitabili della vita, allora dare sofferenza a noi stessi ci dà un senso di controllo sul nostro dolore e sulla nostra esistenza. Ed attacchiamo i valori morali al sentirsi in colpa e privando noi stessi di piacere, perché allora almeno soffrire e sentirsi male verso noi stessi ci rende una bella persona e non facciamo del male per niente. Un significato al nostro soffrire, cosa che cerchiamo costantemente.