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Leonidas Elisabeth Díaz Díaz: ragazza madre vittima della dittatura

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Niña, un armario de deseos colgados en perchas de madera pintadas a óleo, tela manchada por días de juegos e incursiones con los amigos de siempre. Impresiones y descubrimientos, averiguaciones en una época ajena, desafíos de la adolescencia. La vida crecía en mi vientre mientras la niñez se alejaba, canto de sirenas de pelo largo y voz sutil siguen relatando una historia. Una cuna y una tierna nana, brazos para acunar, pequeños labios para regalar besos al bebé en camino. Niña, mamita delicada como una flor recién florecida, guerrera potente, bailarina descalza en noches de amor sin fin. Caracoles lentos trazan un recorrido entre la hierba casi seca, hojas crujientes, trampolín para los saltos de los grillos en búsqueda de un refugio. Un puente parte rincones de existencia, mientras el río a veces tumultuoso y a veces plácido arrastra todo lo que encuentra en sus riberas, alza barricadas de basura y cadáveres tirados. Niña, violines tocando melodías del recuerdo, melodías estremecedoras, lloran las cuerdas floreadas. Niña, vestido de fantasía ciñe y acoje esta pancita. Niña mamita construyendo el cuerpo como templo y hogar seguro, deshaciendo prejuicios y juicios de la gente que está alrededor, con sus dedos apuntados para indicar la vergüenza, acusadora mojigada en un procedimiento delante a un tribunal fantasma y absurdo donde los reaccionarios dictan sus sentencias violentas y genocidas. En la vereda me esperan mis amigos, compartiendo una comida rica, charlas de cabros chicos, helado como postre. Las calles alienantes, personas trasformadas en soldaditos ¿y los que no se homologan? Eliminados, aniquilados, fusilados, hechos desaparecer. Niña, seis meses de embarazo, vestido de fantasía, una última fotografía a sellar el recuerdo de un bebé que no tuvo la oportunidad de ver la luz y mis ojos tan tierno de niña mamita.

Me llamo Leonidas Elisabeth Díaz Díaz, tengo 14 años, seis meses de embarazo y ninguna militancia política. Me gusta ir de carrete con mis amigos, vivir la vida con alegría y estupor. Aún soy niña a pesar que en mi vientre ya está la vida. Los juegos con los muñecos los abandoné muy temprano. Soy solo una niña, ¡Mírame bien! No te dejes confundir de mi aspecto de mujer. En la tarde del 13 de octubre de 1973 una patrulla de carabineros nos detuvieron, estaba con mis amigos. Todos fuimos aprehendidos y nos llevaron a distintas comisarias antes de ser ejecutados. Durante el toque de queda nos trasladaron a las orillas del río Mapocho, arriba estaba el puente Bulnes complice. Nos ordenaron de escapar y nos balearon. Y yo era solo una niña, sí, una niña embarazada. Mi cuerpo acribillado con mi vientre destrozado conservado en un frigorífico, mi pequeño intacto y su cordón umbilical todavía parte de mi.

Niña, el destino y la dictadura han confeccionado un final tan espantoso, brilla la estrella de la memoria, brilla y alumbra tu historia, la trae hasta el día de hoy, la trae para devolverte vida, verdad y justicia, la trae para que tu hijito y tú sigan creciendo juntos en otra dimensión, que es la dimensión del recuerdo, del pueblo. Niña mamita, Leonidas Elisabeth, quien sabe como hubieras llamado al bebé que residía en tu vientre. Niña mia, niña de Chile, asesinada por los cobardes, tu historia nunca será borrada ni olvidada.

(Ragazza, un armadio dei desideri appeso a grucce di legno dipinte a olio, tela macchiata da giornate di giochi e scorribande con gli amici di sempre. Impressioni e scoperte, ricerche in un tempo alieno, sfide dell’adolescenza. La vita cresceva nel mio grembo mentre l’infanzia si allontanava, il canto di sirene con i capelli lunghi e la voce sottile continuano a raccontare una storia. Una culla e una tenera ninna nanna, braccia per cullare, piccole labbra per dare baci al bambino in arrivo. Ragazza, mamma delicata come un fiore appena sbocciato, potente guerriera, ballerina a piedi scalzi in notti di amore infinito. Lentissime lumache tracciano un sentiero tra l’erba quasi secca, le foglie croccanti, trampolino di lancio per i salti dei grilli in cerca di rifugio. Un ponte divide angoli di esistenza, mentre il fiume a volte tumultuoso e a volte placido trascina tutto ciò che trova sulle sue sponde, erige barricate di immondizia e cadaveri buttati. Ragazza, violini che suonano melodie della memoria, melodie emozionanti, piangono le corde pizzicate. Ragazza, abito fantasia cinge e abbraccia questo pancino. Ragazza mammina costruendo il corpo come tempio e casa sicura, disfacendo pregiudizi e giudizi delle persone che stanno intorno, con le loro dita puntate ad indicare la vergogna, ipocrita accusatrice in un procedimento davanti a un tribunale fantasma e assurdo dove i reazionari dettano le loro sentenze violente e genocida. I miei amici mi stanno aspettando sul marciapiede, condividendo un pasto delizioso, discorsi da ragazzini, gelato per dessert. Le strade alienanti, le persone trasformate in soldatini, e chi non si omologa? Eliminato, annientato, fucilato, fatto sparire. Ragazza, incinta di sei mesi, vestito fantasia, un’ultima fotografia a suggellare il ricordo di un bebè che non ha avuto occasione di vedere la luce e i miei occhi così teneri da bambina mamma.

Mi chiamo Leonidas Elisabeth Díaz Díaz, ho 14 anni, sono incinta di sei mesi e non ho militanza politica. Mi piace andare in giro con i miei amici, vivere la vita con gioia e meraviglia. Sono ancora una bambina nonostante la vita sia già nel mio grembo. Ho abbandonato i giochi con le bambole molto presto. Sono solo una bambina, mi guardi bene! Non lasciarti confondere dal mio aspetto da donna. Nel pomeriggio del 13 ottobre 1973 una pattuglia di polizia ci ha fermato, ero con i miei amici. Siamo stati tutti arrestati e portati in diverse stazioni di polizia prima di essere giustiziati. Durante il coprifuoco ci hanno spostato sulle rive del fiume Mapocho, sopra c’era il ponte Bulnes complice. Ci hanno ordinato di scappare e ci hanno sparato. Ed ero solo una bambina, sì, una bambina incinta. Il mio corpo crivellato con il ventre frantumato conservato in frigorifero, il mio bambino intatto e il suo cordone ombelicale ancora parte di me.

Ragazza, il destino e la dittatura hanno escogitato una fine così spaventosa, brilla la stella della memoria, brilla e illumina la tua storia, la porta fino ad oggi, la porta per darti vita, verità e giustizia, la porta in modo che tuo figlio e tu continuiate a crescere insieme in un’altra dimensione, che è la dimensione della memoria, del popolo. Bambina, Leonidas Elisabeth, chissà come avresti chiamato il bambino che risiedeva nel tuo grembo. Bambina mia, ragazza del Cile, uccisa da codardi, la tua storia non sarà mai cancellata né dimenticata.)

All’alba del 14 ottobre 1973, otto persone vennero giustiziate dagli agenti dei carabineros. I loro nomi:

– Alfredo Andrés Moreno Mena, 23 anni, operaio;

– Luis Miguel Rodríguez Arancibia, 23 anni, mercante;

– Luis Alberto Verdejo Contreras, 26 anni commerciante;

– Leonidas Elisabeth Díaz Díaz, studentessa, 14 anni, al sesto mese di gravidanza;

– Jaime Max Bastias Martinez, 17 anni, operaio;

– Luis Suazo Suazo, 20 anni, verniciatore di automobili;

– Domingo de la Cruz Morales Díaz, 20 anni, elettricista;

– Luis Toro.

Nel pomeriggio del 13 ottobre 1973, una pattuglia di carabineros arrivò alla Quinta de Recreo “Los Sauces de Puente Alto”, procedendo ad arrestare, davanti ad alcuni testimoni, i giovani sopra citati. Vennero portati alla 20° Comisaria di Puente Alto e da lì condotti dapprima alla 4° Comisaria di Santiago e infine alla Tenencia “Rogelio Ugarte”.

All’alba del 14 ottobre 1973, durante le ore di coprifuoco vennero fatti salire su una jeep e portati sulle sponde del fiume Mapocho all’altezza del Puente Bulnes. Scesi dalla jeep venne ordinato loro di scappare ma non ebbero tempo neppure di fare pochi metri che le raffiche raggiunsero i loro corpi, lasciandoli morti tra le braccia del fiume.

Un testimone raccontò: «Aprì il frigorifero e vidi la ragazza (Leonidas Elisabeth Díaz Díaz). Il suo corpo sventrato e al suo lato il feto di sei mesi di gestazione con ancora il cordone ombelicale attaccato. Il bambino non aveva segni di pallottole, mentre il ventre della giovane era devastato dai proiettili».

¡NI OLVIDO NI PERDÓN!

¡VERDAD Y JUSTICIA!

Chantal Castiglione

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