Non siamo Live

Gerardo Poblete Fernández: una croce di misericordia nella chiesa iquiqueña

Facebook
WhatsApp
Telegram

Cruz de misericordia, padre de la humanidad, libros sembrados en la pieza como pequeñas plantas listas para donar frutos. Frutos llamados conciencia crítica, reflexión, dignidad. La filosofía, como agua bendida a regar las plantita. Cruz de misericordia y un desierto que se une al mar, piel secada por el sol y la sal, cielos estrellados por miles de constelaciones que dibujan senderos para los viandantes y rutas para buques imaginarios. La arena me lleva a la memoria fragmentos bíblicos, mi amado Jesús traicionado por su gente, flagelado y escarnecido. Cruz de misericordia, te sacrificaste para todo el género humano que se ha mostrado tan ingrato visto que sigue perpetrando crímenes hacia sus semejantes. ¡Cuántos hombres y mujeres crucificados, detenidos en campamientos sin haber cometido delitos, culpables solo por haber nacidos y desarrollado un pensamiento diferente al  que venía impuesto por el poder! Subversivos y subversivas apretando libros “peligrosos”, como los de filosofía, creadores de mentalidad abierta y libertadora contra el cierre de los regímenes dictatoriales que intentaron eliminar todas la oposiciones, incluso quemar los libros. Cruz de misericordia, llevada por el calvario de nuestra existencia, a veces arrastrándola, a veces levantándola como si fuera una pluma suave y sonriente, otras veces traéndola con el alma destrozada y desesperada. Un rosario para rezar a la Vírgen de la Tirana, velo puro y bordado, niño entre sus brazos, mirada de mamá amable y tierna. ¡Oh Virgen de la Tirana madre nuestra, qué pronto pueda terminar esta violencia de Estado! ¡Madre de misericordia, dejo en tus manos santas el destino de nuestro País! Cruz de misericordia, libros de filosofía, traición y delación por unos hermanos en Cristo, mis estudiantes semillas contra la homologación.

Me llamo Gerardo Poblete y soy un padre salesiano y profesor de filosofía en el Colegio Don Bosco de Iquique, tengo 31 años y no tengo alguna militancia política. Enseñar es toda mi vida, los jóvenes se parecen a esponjas que absorben todo el conocimiento que les compartimos y del que discutimos durante las clases, un conocimiento partícipe y en el que ellos son parte activa. Carabineros allanaron mi dormitorio y me aprehendieron, supuestamente culpable de poseer libros de izquierda y armas, delatado por otros salesianos, abandonado por aquella parte de la iglesia chilena corrupta y flanqueadora de la dictadura. Me torturaron hasta la muerte. Era el 21 de octubre de 1973. Mi superior me dejó en las manos de los verdugos a pesar que vió mi rostro amoratado y escuchó mis palabras pronunciada en un hilo de voz: «Me están golpeando». Un reguero de sangre en el pasillo a testimoniar mi martirio. La versión oficial relataba que se trató de una caída accidental desde el furgon en el que me trasladaron a causar mi muerte. La verdad es que me golpearon hasta quitarme la vida.

¡Padre, perdónalos porque no saben lo que hacen! Perdona esta gente que perdió el temor de Dios y el amor por el prójimo, por la juventud en marcha y por la belleza. Perdona ellos que se están manchando de crímenes tan feroces, crímenes de lesa humanidad. Perdónalos tú si puedas, porque ellos no merecen el perdón del pueblo, de los que siguen sufriendo, de los familiares de detenidos desaparecidos y ejecutados políticos. Ellos solo merecen pudrirse en el infierno y en las cárceles. Padre, recibeme en el paraíso de los justos, a pesar que fui también un pecador como todos los hombres, te ofrezco mi martirio, sana mis heridas. Y para ti, Pueblo que no olivada, una incomensurable plegaria de amor y gratitud.

(Croce di misericordia, padre dell’umanità, libri seminati nella stanza come piantine pronte a donare frutti. Frutti chiamati consapevolezza critica, riflessione, dignità. La filosofia, come acqua santa per irrigare le piantine. Croce di misericordia e deserto che si unisce al mare, pelle seccata dal sole e dalla salsedine, cieli stellati da mille costellazioni che disegnano percorsi per viandanti e rotte per navi immaginarie. La sabbia mi ricorda frammenti biblici, il mio amato Gesù tradito dal suo popolo, flagellato e deriso. Croce di misericordia, ti sei sacrificato per l’intero genere umano che si è mostrato così ingrato mentre continua a perpetrare crimini contro i suoi simili. Quanti uomini e donne crocifissi, rinchiusi in campi senza aver commesso reati, colpevoli solo di essere nati e di aver sviluppato un pensiero diverso da quello imposto dal potere! Uomini e donne eversivi che stringono libri “pericolosi”, come quelli di filosofia, creatori di mentalità aperta e liberatrice contro la chiusura dei regimi dittatoriali che hanno cercato di eliminare ogni opposizione, bruciando anche i libri. Croce di misericordia, portata per il calvario della nostra esistenza, a volte trascinandola, a volte sollevandola come fosse una piuma morbida e sorridente, altre volte portandola con animo spezzato e disperato. Un rosario per pregare la Vergine della Tirana, un velo puro e ricamato, un bambino in braccio, lo sguardo di una madre gentile e tenera. O Vergine della Tirana nostra madre, che presto possa finire questa violenza di Stato! Madre di misericordia, lascio il destino del nostro Paese nelle tue sante mani! Croce di misericordia, libri di filosofia, tradimento e denuncia di alcuni fratelli in Cristo, miei studenti semi contro l’omologazione.

Mi chiamo Gerardo Poblete e sono sacerdote salesiano e professore di filosofia al Colegio Don Bosco di Iquique, ho 31 anni e non ho alcuna militanza politica. Insegnare è tutta la mia vita, i giovani sono come spugne che assorbono tutte le conoscenze che condividiamo con loro e di cui discutiamo durante le lezioni, conoscenze a cui partecipano e di cui sono parte attiva. I carabinieri hanno fatto irruzione nella mia camera da letto e mi hanno arrestato, ritenuto colpevole di possesso di libri di sinistra e armi, tradito da altri Salesiani, abbandonato da quella parte della chiesa cilena corrotta e fiancheggiatrice della dittatura. Mi hanno torturato a morte. Era il 21 ottobre 1973. Il mio superiore mi ha lasciato nelle mani dei carnefici anche se ha visto la mia faccia contusa e ha sentito le mie parole pronunciate sottovoce: “Mi stanno picchiando”. Una scia di sangue nel corridoio a testimoniare il mio martirio. La versione ufficiale affermava che si trattò di una caduta accidentale dal furgone in cui mi avevano trasferito a causare  la mia morte. La verità è che mi hanno picchiato fino a togliermi la vita.

Padre, perdona loro perché non sanno ciò che fanno! Perdona queste persone che hanno perso il timore di Dio e l’amore per il prossimo, per i giovani in marcia e per la bellezza. Perdona coloro che si macchiano di crimini così feroci, crimini contro l’umanità. Perdonali tu se puoi, perché non meritano il perdono del popolo, di chi continua a soffrire, dei parenti dei detenuti desaparecidos e dei giustiziati politici. Meritano solo di marcire all’inferno e nelle prigioni. Padre, accoglimi nel paradiso dei giusti, anche se sono stato anche io peccatore come tutti gli uomini, ti offro il mio martirio, guarisci le mie ferite. E per voi, Popolo che non dimentica, un’incommensurabile preghiera di amore e gratitudine.)

Gerardo Poblete Fernández nacque a Santiago nel 1942. Era un ragazzo studioso, un buon lettore e lontano dal partitismo politico. Aveva 31 anni quando morì per le torture subite. Era un prete salesiano del Colegio Don Bosco di Iquique, dove lavorava come professore di filosofia. Cercava, con la sua materia, di sviluppare nei giovani una capacità riflessiva e critica davanti agli avvenimenti e le sue lezioni erano molto apprezzate.

Venne denunciato ai carabineros da altri religiosi della struttura. Venne accusato di essere marxista per alcuni libri che utilizzava come appoggio ai programmi vigenti di filosofia e di custodire delle armi. Qualcuno ce l’aveva con  lui perché rifiutò di schierarsi con alcuni partiti politici nel Colegio e proibì uno sciopero contro il governo socialista di Salvador Allende. Alcune settimane dopo lo scoppio del colpo di stato, ovvero il 21 ottobre 1973, la polizia fece irruzione nel suo dormitorio, dove appunto trovarono la letteratura di sinistra. Insieme al professore Ricardo Salgado venne portato alla stazione dei carabineros, dove morì dopo una violenta sessione di tortura.

La polizia attribuì il suo decesso a una caduta accidentale dal veicolo che lo portava in caserma. Secondo loro l’impatto di quell’incidente avrebbe causato, in seguito, la morte nella struttura.

Da alcune fonti giornalistiche emerse una verità sconcertante sulle complicità della congrega dei salesiani nel mantenere il silenzio e occultare le reali cause della morte di Padre Gerardo Poblete.

Il sacerdote salesiano Maximiliano Ortúzar Cariola era seduto nel commissariato di Iquique. Attorno alle sette di sera di quella domenica del 21 ottobre 1973, apparve il sacerdote Poblete. Era ammanettato. I suoi vestiti rovinati. Il viso pieno di lividi. Ortúzar non riuscì a vedere il suo petto. «Mi stanno picchiando», gli disse quasi silenziosamente con un filo di voce. Ortúzar era il direttore del Colegio salesiano Don Bosco di Iquique, dove il giovane prete insegnava. Due carabineros lo portarono via. Poco prima, quando chiese di andare in bagno il direttore del Don Bosco vide una scia di sangue. Un’ora dopo, il maggiore Enzo Meniconi si avvicinò a Ortúzar e gli disse che padre Poblete era morto. Ortúzar chiese di vederlo. Salì in infermeria e lì stava il corpo esanime di Gerardo. Aveva anche il petto e l’addome pieno di lividi. Gli dette l’estrema unzione. In quelle circostanze seppe che il salesiano era morto durante la tortura.

Il direttore del colegio cercò una soluzione: convenne con i carabineros di informare gli studenti di padre Poblete ma raccontando che si fosse trattato di un attacco cardiaco. «Volevo salvare l’onorabilità dei carabineros capi che sembravano  innocenti», commentò Ortúzar.

Per confermare la bugia Ortúz telefonò al comandante Martínez del Regimiento Carampangue di Iquique che la ratificò.

Il giorno dopo, il comandante della divisione dell’esercito di Iquique, generale Carlos Forestier, cambiò ufficialmente la causa della morte: il bando n.5 pubblicato dalla stampa, informò che padre Gerardo Poblete morì per le lesioni provocate “dall’essere inciampato sul battistrada del furgone dei carabineros che lo stava conducendo ammanettato alla stazione di polizia, cadendo rovinosamente sul pavimento”.

Di tutto quello che successe quel giorno Ortúzar informò a Santiago al Provincial salesianos de Chile Ricardo Ezzati Andrello, in una lunga lettera datata 19 novembre 1989, diciazzette anni dopo i fatti. La verità sulla morte del professore di filosofia e salesiano  continuava a rimanere nascosta. Infatti Ezzati continuò a mantenere il segreto, perché secondo l’alto prelato esisteva un rapporto ufficiale stilato da una commissione inviata da Pinochet per indagare sulla morte di Gerardo nella quale si confermava come causa della sua morte la caduta accidentale dal furgone.

La verità si poté comprovare solo anni dopo. Dichiarazioni molteplici e verosimili prestate da testimoni oculari alla Comisión Rettig, permisero di affermare che Padre Poblete non era ammanettato nel furgone dei carabineros e che non cadde a terra. Al contrario arrivò all’interno della struttura di polizia in condizioni fisiche normali. Gerardo Poblete morì in seguito alle torture subite, tra i suoi torturatori il prefetto de carabineros Enzo Meniconi. Secondo l’investigazione giudiziaria, il sacerdote salesiano fu interrogato con calci, pugni, colpito con il calcio di un’arma da fuoco e altri oggetti contundenti; condizioni che, in definitiva, ne causarono la morte. Tanto delle violenze sofferte Gerardo morì durante l’interrogatorio.

Le indagini sulla sua morte segnalarono anche che un uomo testimoniò che, giorni dopo aver appreso la notizia della morte “accidentale” di Gerardo Poblete un amico carabinero attanagliato dai sensi di colpa gli confessò che aveva ucciso un prete e che mentre lo torturavano, questo guardava al cielo dicendo: «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno». Queste furono presumibilmente le sue ultime parole.

¡NI PERDÓN NI OLVIDO!

PARA QUE NUNCA MÁS!

Chantal Castiglione

Condividi l'articolo
Facebook
Twitter

Newsletter

Seguici

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *