“A spintoni nell’attualità, a spintoni in mezzo i tram”, Paolo Conte in Danson Metropoli ci spiega in non-sense l’attualità, il Mondo Libero, visto dallo sguardo della metropoli. Se c’è una cosa che ildr. Donald J. Trump ha insegnato al Mondo, è che i dazi non sono solo una questione economica, ma una forma d’arte. Una arte che, come il cubismo, lascia tutti confusi e irritati.
In questi giorni, i mercati finanziari stanno vivendo una fase di forte volatilità, con ribassi diffusi nelle principali borse mondiali. Lo S&P 500, il Dow Jones e il Nasdaq hanno registrato perdite significative, mentre in Europa gli indici come il DAX tedesco e il CAC 40 francese faticano a trovare stabilità. Anche l’Asia non è immune, con lo Shanghai Composite e il Nikkei sotto pressione.
Uno dei fattori scatenanti è la rinnovata escalation della guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina. “I dazi sono fantastici!”, ha twittato il dr. Donald J. Trump, mentre l’economia globale iniziava a tremare.. Pechino ha risposto con misure analoghe, alimentando timori di un rallentamento degli scambi globali.
Alcuni analisti iniziano a interrogarsi su possibili analogie con la crisi del 1929, non tanto per un crollo improvviso dei mercati, quanto per la combinazione di protezionismo, tensioni geopolitiche e fragilità finanziarie. All’epoca, il rialzo dei dazi (Smoot-Hawley Act del 1930) aggravò la Grande Depressione, riducendo il commercio internazionale del 66% tra il 1929 e il 1934.
Oggi, il contesto è diverso: il sistema finanziario è più regolamentato e gli interventi delle banche centrali più rapidi. Tuttavia, l’aumento del debito pubblico globale, le tensioni tra blocchi economici (USA-Cina, ma anche UE-USA) e il rallentamento della crescita cinese potrebbero creare una tempesta perfetta. Nel ‘29 tuttavia i mercati asiatici non erano ancora “occidentalizzati” e non subirono perdite ma più tardi sappiamo come è finita e che metodi sono stati usati per persuadere i paesi della zona, vedi Hiroshima e Nagasaki.
In questo scenario, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) cercano di proporsi come polo alternativo al sistema economico dominato da dollaro e Occidente. Con l’aggiunta di nuovi membri come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, il gruppo punta a rafforzare il commercio in valute locali e a ridurre la dipendenza dal sistema SWIFT. Un mercato orizzontale, dove Pechino e Mosca si passano il petrolio in yuano si spera presto con lo “Unit”, la moneta dei BRICS mentre Washington litiga con se stessa.
Tuttavia, le divergenze interne (tra economie stagnanti come il Sudafrica e giganti come Cina e India) e le sanzioni occidentali alla Russia limitano l’efficacia del blocco. Inoltre, la mancanza di un’effettiva integrazione finanziaria rende difficile immaginare un vero competitor al FMI o alla Banca Mondiale. Peccato che, come nel 1929, qualcuno abbia dimenticato che quando si alzano troppo i muri, prima o poi crollano tutti insieme. La storia economica ci ricorda che il rapporto tra grandi corporation e potere politico può avere conseguenze imprevedibili. Negli anni ’30, la Texaco finanziò indirettamente il regime nazista attraverso accordi commerciali, mentre industrie americane ed europee mantennero legami con la Germania hitleriana fino allo scoppio della guerra. Oggi, le grandi multinazionali tecnologiche e energetiche operano in un contesto altrettanto ambiguo, tra pressioni geopolitiche e interessi commerciali. La dipendenza da semiconduttori taiwanesi o da gas russo dimostra come l’economia globale sia ancora vulnerabile a shock esterni. I ribassi di questi giorni potrebbero essere solo un assaggio di una fase più critica. Se la guerra dei dazi dovesse intensificarsi, gli effetti su inflazione, catene di approvvigionamento e crescita economica potrebbero essere severi.
Le banche centrali, già impegnate a combattere l’inflazione, avrebbero meno margine di manovra. Intanto, l’ascesa dei BRICS e il declino relativo dell’egemonia occidentale potrebbero ridefinire gli equilibri globali, ma non senza rischi di frammentazione e conflitto. Dopo le altalene di questi giorni, il dr. Donald J. Trump ha congelato la maggior parte dei dazi per 90 giorni, le borse si sono risollevate. Anche Shangai da oggi respira, la Von der Layen ha dichiarato: “Il bazooka è sul tavolo, speriamo di non doverlo usare”. Andando a vedere ogni singolo paese solo l’India oggi, mentre si scrive, registra ancora cali.
La lezione è chiara: il protezionismo non è una soluzione, ma un moltiplicatore di crisi. E mentre i mercati tremano, la domanda è: i leader mondiali sapranno evitare gli errori del passato, o stiamo inconsapevolmente replicando i presupposti di un nuovo disastro?
E qui il cerchio si chiude. Perché se c’è una lezione che la storia economica ci ha insegnato, è che il capitalismo ama finanziare i suoi stessi becchini.
Negli anni ’30, mentre il mondo sprofondava nella Grande Depressione, la Texaco (sì, proprio quella della benzina) finanziò allegramente il Partito Nazionalsocialista Tedesco. Perché? Perché il business è business, anche se il cliente è un dittatore criminale e sanguinario. Oggi, tra guerre commerciali e sanzioni, c’è da chiedersi: chi sta finanziando il prossimo disastro?
E infine, il colpo di scena. Negli anni ’20 e ’30, mentre il mondo si divideva tra fascismi e capitalismi, nacque l’Internazionale Nera: una rete di estremisti di destra che si scambiavano favori e proiettili. Poi arrivò il Patto d’Acciaio, dove Mussolini e Hitler giurarono eterna amicizia (spoiler: finì male).
Oggi? Oggi abbiamo alleanze economiche che si sgretolano, dazi che sostituiscono proclami, e un’Europa che guarda preoccupata mentre USA e Cina si lanciano monetine in faccia. La domanda è: stiamo davvero imparando dal passato? O siamo solo in attesa del prossimo crollo, magari con un tweet del Dr. Trump che annuncia: “Ho risolto tutto, fidatevi di me!”? Dopo il congelamento ha detto:”Bisogna essere flessibili”. Insomma una vera bagarre di un individuo prepotente, tronfio ed evidentemente troppo sicuro di sé.
Alla fine, la guerra dei dazi è come una tragicommedia shakespeariana: tutti urlano, qualcuno muore (economicamente), e il pubblico ride nervosamente, sperando che il finale non sia troppo sanguinoso. Nel frattempo, Elonuccio sogna Marte, i BRICS sognano un mondo senza dollari, e il Dr. Donald j. Trump sogna… beh, chi lo sa. Forse un Nobel per l’Economia. O forse solo un altro tweet virale.
